La DistrazioneUn sogno ricorrente. Un treno ribaltato nel buio di una metro, corpi straziati e scomposti, ammucchiati. Anna è l’unica sopravvissuta. Un matrimonio adagiato sui fianchi larghi di lei e sulla calvizie incipiente di lui, un rapporto silenzioso, dove manca il coraggio di chiedersi il perché di tutto: dal vezzo di un cucchiaino che troppo a lungo mescola lo zucchero nel caffè, al dubbio di un tradimento. E poi un lavoro più immobile di un’istantanea sbiadita, una madre persa quasi per caso, un padre troppo servizievole e una zia devota. Questi sono i mattoni che formano le pareti della prigione di Anna, una prigione che si è costruita perché pur desiderando la libertà, non sa poi come crearla, non ne immagina i contorni, e allora si rifugia nelle immagini che vede scorrere in treno quando torna a casa, nelle fantasie create sui passeggeri che siedono accanto a lei in metro, nella speranza di poter trovare un posto, una dimensione che l’accolga.

Il rifugio però non basta. Serve una distrazione e ben presto arriva. Un telefilm, un mondo lontano e innocuo che le dà pace.

Ma che con l’andar del tempo diventa un’ossessione, la sublimazione della protagonista come fosse l’ideale di un sé mai trovato, grazie anche alle lunghe ore che Anna passa al computer navigando in rete, tra forum, blog e siti vari che si occupano del telefilm e dei suoi attori.
Infine il passatempo prende possesso di ogni istante della sua giornata, ogni piccolo spazio della sua mente. Non le importa più del lavoro, del marito, della famiglia. Si allontana fisicamente da tutto e tutti, in modo che nessuno possa più farle del male. E la distrazione diventa letale.

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